De Raffaele: Mi immagino una ripresa progressiva ma con tanto entusiasmo

Le parole del coach della Reyer: Nazionale? Adesso c’è già chi la guida con efficacia e saggezza, però resta un sogno perché quando sono stato li mi è rimasto molto dentro il senso di appartenenza e lo sento specialmente in questo periodo storico

Walter De Raffaele, coach della Reyer Venezia, è stato ospite della diretta Instagram di Basket dalla Media condotta da Marco Barzizza, nella quale ha commentato cosa si aspetta dalla ripresa delle attività, i recenti ricordi della vittoria in Coppa Italia, gli scudetti e il sogno di allenare un giorno la Nazionale.

“Seguendo i tanti telegiornali che parlano di coronavirus, la situazione sembra in leggero miglioramento. Sport a porte chiuse fino a gennaio? Se fosse la condizione per ripartire l’accetteremo come abbiamo accettato tutto. Mi piace molto l’idea lanciata dalla lega di fare una mega Summer League tra luglio e agosto con tutte le squadre, una sorta di precampionato preparatorio con poi magari una mega Supercoppa. Dovremo partire con distanze di sicurezza, poter usufruire della struttura, sarà tutto graduale. Noi penso ripartiremo con del lavoro individuale per poi farlo a gruppi e finire con il contatto, che è il vero punto focale della questione. Me la immagino una ripresa progressiva ma con molto entusiasmo, molto più sereni e un po’ più attenti alle cose più concrete. Un po’ meno incazzati per una sconfitta, un po’ meno rancorosi con i colleghi e con la stampa. E proprio la stampa avrà un ruolo fondamentale nel vendere il prodotto così come tutti i social. Reputo fondamentale il fatto che tutti dovranno cercare di vendere anche ciò che in realtà non è, sottolineando più positivo di quello che sarà. Il nostro rimane un lavoro che deve dar gioia alle persone e quindi pensando a chi ha lavorato finora, ha rischiato finora, noi abbiamo anche un ruolo sociale per chi ci vede soltanto in tv. Mi auguro che si peseranno un po’ di più le cose, anche se il mio timore è che quando sarà tutto a posto si torni a essere gli stessi di prima. Spero che ai buoni propositi di adesso corrispondano anche i fatti”, apre il coach parlando di come secondo lui sarà la ripresa una volta passata la quarantena.

Passando poi al basket giocato e all’ultimo successo della sua Reyer… : “La Coppa Italia è stata l’ultima possibilità di gioire con il pubblico, anche se poi c’è stato il sospetto che i tanti contagi nella zona di Pesaro fossero dovuti proprio a quella manifestazione; ma non lo sapremo mai. È stata una grande vittoria, che adesso mi sembra lontanissima per tutto quello che è successo. Una 4 giorni clamorosa per noi”.

“Analizzando i 7 mesi di stagione fatti, devo dire che ci siamo interrotti nel nostro momento migliore. Siamo arrivati alla Coppa Italia con finalmente un’identità precisa, equilibri precisi e un modo di giocare che era diventato fluido e chiaro in tutte le sue componenti, anche nelle scelte di quintetti e rotazioni. Non so come sarebbero stati gli ultimi tre mesi, ci sarebbe stata la roulette russa dei playoff ma sono convinto che avremmo potuto essere indigesti per tutti, ipotizzando di non poter arrivare nelle prime posizioni”, ha proseguito il coach campione d’Italia in carica che poi si è concesso alle domande degli spettatori.

Giocatore più forte mai allenato? “Joseph Forte, passato da Pavia, mai visto tanto talento sprecato. Poi direi Austin Daye e Drew Nicholas”.

Pregi e difetti di Daye. “Il pregio è quello di non farsi mai condizionare dall’andamento della sua partita, cosa che fa parte dei grandi campioni. Può sbagliare tanti tiri importanti durante una gara ma sei sicuro che se gli affidi quello che conta ha tante probabilità di metterlo. Il difetto è che spesso si innamora di sé stesso, si basa troppo sul suo talento e quello diventa il suo limite. Ha fatto tanti passi avanti nel corso di questi anni, ma ogni tanto gli va data una bastonata per tornare dritto. La cosa più bella è che comunque è un ragazzo molto serio, al di là del personaggio che deve interpretare, cosa un po’ obbligatoria al giorno d’oggi con i social. È molto educato, ha grande cultura cestistica, innamorato perso della pallacanestro: parliamo ore di partite anche di 25 anni fa, di cui lui magari parlava con suo padre. È sempre alla ricerca del miglioramento, è uno molto pulito, genuino”.

Differenze tra i due scudetti. “Il primo è stato un flash, come la prima volta che sono andato a New York, ho alzato la testa e ho visto i grattacieli. È stato uno scudetto vissuto tutto in apnea. Il secondo è stato più consapevole, una costruzione fatta all’interno della stagione, definito un piccolo capolavoro perché abbiamo avuto tanti problemi e siamo stati bravi a cambiare in corsa e risolverli. Il primo più emozionante, il secondo più di sostanza”.

Che giocatore ti piacerebbe allenare? “Teodosic. Visto quest’anno dal vivo tante volte, credo che sia un genio della pallacanestro. Poi da mediocre playmaker di A2 quale sono stato, è un ruolo che mi stuzzica. Tutti questi giocatori con talento con palla in mano mi affascinano, anche quelli che vengono definiti difficili, problematici; mi piace capire il modo di pensare dei giocatori”.

La crescita di Davide Casarin. “Come tutti gli anni abbiamo inserito un giocatore dalle giovanili per fare un po’ di apparizioni e allenarsi con noi. Insistere con lui nonostante l’età è stato perché ha molta personalità, al di là della struttura fisica e talento. I primi mesi ha avuto difficoltà come le hanno tutti, poi è cresciuto diventando più sfrontato e acquisendo credibilità coi compagni; per un giovane conta di più quello, quanto i senior ti rispettano. Ha tante armi da poter utilizzare: credo avrà prospettiva per la Reyer e per il panorama nazionale, mi ricorda un po’ Papaloukas, testa sempre alta, fisico possente, quando c’è da far canestro lo fa, ricerca dell’assist a volte a effetto”.

Nazionale? “Ho avuto la fortuna di assaporarla da assistente con Recalcati. Non l’ho mai fatto da giocatore quindi è naturale che sia un sogno da allenatore. Adesso c’è già chi la guida con efficacia e saggezza, però resta un sogno perché quando sono stato li mi è rimasto molto dentro il senso di appartenenza e lo sento specialmente in questo periodo storico. Lo tengo li nel cassetto, speriamo”.