Davide Alviti: “Io, ex pendolare del basket, vivrò Milano con dedizione e serenità”

Le prime parole di Alviti da neo giocatore biancorosso

Davide Alviti non è un predestinato. Davide Alviti non è cresciuto in un grande settore giovanile, ma se lo è conquistato. Davide Alviti ha dovuto lasciare casa, i rassicuranti confini familiari, per diventare un giocatore. Ha dovuto cambiare quattro squadre in quattro anni, passando da Mantova a Tortona, da Imola a Treviso per trovare la propria dimensione, fortificando una fede incrollabile nei propri mezzi. E persino la Serie A se l’è dovuta prendere vincendo il campionato di A2 con Treviso. A 25 anni e dopo due stagioni nel massimo campionato, è approdato a Milano, conscio che sarà tutto più bello e tutto più difficile, "ma cosa c’è di facile nella vita?", chiede il ragazzo di Alatri, provincia di Frosinone, 2.00 di statura, e un tiro che l’ha portato fino qui. Ma per lui il basket è un affare di famiglia. La sua carriera è anche il frutto dei sacrifici del padre che lo portava ogni giorno da Alatri a Roma, mangiando un panino con la mano destra e guidando con la sinistra. "La mia passione non è nata da me – conferma -, ma da mio padre. E’ stato lui a portarmi ai primi allenamenti di minibasket perché ero più alto dei ragazzi della mia età. Per me era uno sport come gli altri, all’inizio praticavo il nuoto. Poi giocando ho scoperto che mi piaceva sempre di più e così è nata la vera passione".



E allora parliamo di questa partita giovanile, Eurobasket contro Alatri. Una gara a senso unico.

"Era una partita di livello regionale tra la NB Alatri e l’Eurobasket Roma. In trasferta. Perdemmo 100-14 più o meno, ma tutti i nostri punti li segnai io. Dopo una settimana, lo scout dell’Eurobasket venne ad Alatri e mi propose di proseguire il mio percorso a Roma con il suo club. Fu una scelta facile, perché avevo l’appoggio della famiglia, di mio padre. Lui mi chiese se me la sentissi e io, con l’incoscienza del 16enne, risposi subito di sì".



Il risultato fu una vita da pendolare, per anni.

"All’incoscienza del 16enne in quel caso ha fatto da contraltare la maturità di mio padre e il sostegno della famiglia. E’ stato difficile perché Alatri-Roma si percorre in un’ora e 15, un’ora e 20 di strada in condizioni di traffico moderato, e lo facevamo per tutta la settimana. Ogni volta mi veniva a prendere a scuola, mi portava i panini per essere al campo alle 16.30. Lui guidava e io mangiavo. Poi restava per l’allenamento, a lui piacciono gli allenamenti più che le partite. Erano una valvola di sfogo e poi al ritorno di nuovo panini, ma lui doveva anche guidare".



L’Olimpia gioca al Mediolanum Forum.

"E io ho esordito in Serie A proprio al Forum, era il 16 marzo 2015, indossavo la maglia numero 17 e il giorno dopo morì mia nonna, appunto il 17 marzo. Per questo lo ricordo bene, in maniera nitida, sono passato dalla gioia dell’esordio alla disperazione del giorno successivo".



Il suo idolo era davvero Gigi Datome?

"Sì, l’ho sempre detto che era lui il mio idolo, lo è dalla prima volta in cui l’ho visto a Roma. Lui era alla Virtus, era l’anno in cui vinse l’MVP. Io e mio padre ci fermavamo a vederlo allenarsi. Mi chiedevo come facesse a fare sempre canestro. Mio padre cercava di spiegarmi, farmi notare, come spezzava il polso, come metteva le gambe. Così mi ha affascinato, ho sempre cercato di capire cosa facesse e come".



Lo scorso inverno in un’intervista ha detto che Alviti gli ricordava il giovane Datome.

"Non credevo a quello che stavo leggendo, è un’intervista che mi ha inviato mio fratello. Sono rimasto dieci secondi a cercare di capire cosa avesse detto, se l’avesse detto sul serio. E’ stato emozionante, mi ha dato la spinta per spingere ancora sull’acceleratore".


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Dopo Roma, ci sono stati quattro anni in giro per l’Italia, sempre in A2.

"Tutte esperienze che mi sono servite, credo mi abbiano aiutato tutte a crescere. La gente pensa che Mantova sia stata un’esperienza negativa, ma era il mio primo anno in A2, a confrontarmi con giocatori forti, esperti, di alto livello e mi è servito in seguito. Poi a Tortona, Coach Demis Cavina mi ha dato fiducia e mi ha fatto giocare da 3, e infine sì l’anno di Imola è stato quello in cui ho trovato la massima fiducia nei miei mezzi. Dopo c’è stata Treviso, la conquista della Serie A e della Coppa Italia, è stato un crescendo".



La Serie A l’hai conquistata con le tue forze vincendo il campionato. E’ stato più bello proprio per questo motivo?

"Dopo l’anno di Imola quello che volevo era una squadra che mi portasse in Serie A insieme a lei, in campo, in Serie A volevo arrivarci così non attraverso il mercato. Era quello che avevo chiesto ai miei agenti. Ci siamo riusciti, prima abbiamo vinto la Coppa Italia e poi c’è stata la promozione, e sono rimasto con la squadra di Treviso in A".



A Trieste c’è stata una vera esplosione. Attesa?

"Non me l’aspettavo così, ma era quello che volevo. Volevo capire se fossi o meno di quel livello e ho lavorato perché accadesse. Non pensavo di riuscirci in modo così veloce, pensavo fosse un processo graduale, ma ci ho lavorato e ci sto lavorando tuttora. Non me l’aspettavo, ma volevo e dovevo riuscire a farlo".


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E nel corso della stagione di Trieste, è arrivata anche la convocazione in Nazionale.

"L’ultimo anno è stato un flusso continuo di emozioni. Ero a fare la spesa quando mio fratello mi ha chiamato per dirmi che ero stato convocato in Nazionale. Cosa vuol dire? Ho visto la long list, poi siamo rimasti in 16, poi infine il debutto, e quando ho indossato quella maglia è stata una sensazione indescrivibile, perché ti viene da pensare a tutti quelli che l’hanno indossata prima di te, cosa hanno fatto, quello che hanno vinto, è un’emozione incredibile".



Sei stato uno dei migliori tiratori della stagione.

"Sì, il tiro è la mia caratteristica principale, ma sto lavorando per mettere nel mio zaino altre cose, perché quando ti conoscono poi ti limitano e allora devi essere in grado di fare altre cose, cose nuove, devi aggiungerle, metterle nello zaino e tirarle fuori quando vai in campo. E quello che sto cercando di fare".



Ora c’è questa enorme sfida di Milano.

"Sì, ma Milano la vivo in modo sereno. Quando l’Olimpia mi ha cercato sono rimasto colpito, perché è la società top in Italia e ha dimostrato quest’anno di esserlo anche in Europa dov’è arrivata tra le prime quattro. Però sono sereno, so che sarà difficile, ma nella vita tutto è difficile. E’ un’esperienza che affronterò come ho sempre fatto con sacrificio, con grinta, con impegno. I frutti li vedrò al momento giusto, importante adesso è metterci tanto lavoro e tanta dedizione".



E avrai da seguire l’esempio di tanti campioni.

"Avrò continui benefici, da quando arriverò qui in palestra la mattina, fino a quando andrò via la sera, perché sarò stato tutto il giorno a contatto con campioni e anche allenatori di alto livello. Quello che faccio solitamente non è prendere una sola cosa da un giocatore, ma prendere un po’ di tutto, mettermelo in testa e portarmelo dietro, nel mio zaino appunto".


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