Cinque domande a…Nico Mannion
Il playmaker della Virtus Segafredo Bologna si racconta fra passato recente e presente
Lunedì 14 marzo Nico Mannion ha compiuto 21 anni ed è reduce da un successo nel derby che porta anche la sua firma con un glaciale 2/2 dalla lunetta nel finale. Questa settimana l’ex Golden State Warriors è il protagonista del format delle "5 domande a…"
Sei stato tra i protagonisti della sofferta vittoria nel derby di Bologna. La tua impronta sul match è stata ben visibile. Raccontaci la partita, vissuta dal punto di vista del giocatore ospite, nel clima rovente del PalaDozza. È stata una partita divertente, giocata in un’atmosfera straordinaria. Mi era già capitato di scendere in campo davanti a un pubblico molto nutrito e caldo in termini di supporto, ai tempi del college, ma a livello professionistico il tifo europeo è decisamente più sentito di quello statunitense. La Fortitudo è stata brava a tenerci testa fino all’ultimo; capita spesso che un derby si decida in volata per quello che significa sia per le tifoserie sia per noi giocatori. Tutti vogliono vincere e credo che il nostro merito principale sia stato quello di compattarci come gruppo, in un clima a noi ostile come quello del PalaDozza. Però – al contrario di quel che si può pensare – anche la squadra ospite può trarre giovamento dalla tensione del contesto che ti permea mentre giochi la stracittadina in trasferta. E nel nostro caso siamo riusciti a cogliere energia, lottando alla pari.
La Virtus si è attivata sul mercato nelle ultime settimane: dai primi allenamenti assieme, che impressione ti han fatto Daniel Hackett e Tornike Shengelia? Pensi che i loro innesti possano giovare in termini di competitività a tutto il gruppo? Dani e Toko sono qualcosa in più di due semplici rinforzi a stagione in corso: i loro curriculum la dicono lunga su quanto possono essere dei valori aggiunti per la Virtus. Come spiegai già tempo fa parlando di Teodosic e Belinelli, avere l’opportunità di allenarmi e confrontarmi ogni giorno con veterani di questo livello è perfetto per la mia crescita. Ho tanto da imparare anche da campioni come loro, che competono ai più alti livelli da 10/15 anni. Hackett ci sta già dando una grossa mano e nel derby tutti lo han potuto constatare, mentre Shengelia deve ancora debuttare con noi ma sono sicuro che riuscirà a dare ulteriori dimensioni al nostro modo di giocare, da atleta estremamente forte e versatile qual è.
Nasci a Siena e dopo qualche anno ti sei scoperto figlio d’arte al 100%: come te, infatti, papà Pace venne scelto al secondo giro del Draft NBA dai Golden State Warriors, per poi fare rotta verso l’Italia, dove ha poi incontrato mamma Gaia, lei pallavolista. Da ex professionisti, come ti hanno aiutato i tuoi genitori a diventare un prospetto di così belle speranze? Ritengo che il lato competitivo della mia personalità sia instillato sin dal giorno zero nel mio DNA, essendo nato dall’unione di due persone che hanno fatto dello sport la loro vita. I miei genitori mi hanno poi portato a sviluppare questa dote che naturalmente sentivo già dentro di me. Mia mamma è stata un punto di riferimento per le ‘lezioni di vita’ che ha è stata in grado di trasmettermi: dal fare sacrifici anche quando i risultati non si vedono subito, al restare sempre umile, predisposto a imparare da tutti. Anche mio padre mi è stato spesso di supporto a livello mentale, ma da ex cestista con alle spalle sei stagioni NBA e circa il doppio in Italia ovviamente ha saputo darmi dritte preziose anche tatticamente. Posso dire che papà è il mio GOAT, il più grande di tutti i tempi per me. Sono innegabilmente di parte, essendo suo figlio, ma posso assicurarvi che ne capisce davvero di pallacanestro. Quando necessito di un saggio consiglio di campo, vado da lui e non torno mai deluso, ma sempre arricchito.
21 anni appena compiuti e puoi già vantare esperienze che tanti ottimi giocatori non riescono a raggiungere in un’intera carriera. Basti citarne un paio: la stagione NBA da rookie ai Golden State Warriors, a rubare trucchi dal miglior atleta al mondo nel tuo ruolo, da un lato; l’Olimpiade di Tokyo vissuta da protagonista, dall’altro. Quale di queste due esperienze sei più impaziente di rivivere più a lungo e con più fortuna? L’anno a Golden State è stato il mio primo da professionista e inevitabilmente è stato speciale, a maggior ragione se si considera che ho potuto condividere campo e spogliatoio con campioni eccezionali, a partire da Steph Curry. Penso non ci siano dubbi sul fatto che sia la miglior point guard del mondo e una delle migliori della storia per la capacità che ha di creare gioco, per sé e per i compagni. Osservare da vicino come e quanto lavora duramente ti fa capire come mai Steph è diventato ciò che è. Lui e gli altri veterani sono stati perfetti ad aiutare i più giovani come me a integrarsi al meglio nel gruppo e a migliorare nel corso della stagione. Passando all’Olimpiade invece, è stato entusiasmante! Un’esperienza che siamo stati bravi a costruirci e meritarci disputando un torneo Preolimpico pressoché impeccabile a Belgrado. Anche in questo caso – come ho detto prima facendo riferimento al derby giocato in trasferta – l’atmosfera ostile che abbiamo trovato in finale contro la Serbia ci ha dato un boost di energia che siamo stati bravi a impiegare con coesione e intelligenza, aiutandoci l’un l’altro. E con quella pazzesca vittoria ci siamo guadagnati il volo per Tokyo… Che dire: è stato speciale partecipare a un’Olimpiade a 20 anni, potendo incrociare i migliori sportivi del mondo all’interno del villaggio… Di emozioni simili non so se ne esistono francamente per chi dedica quasi tutto il suo tempo allo sport. L’obiettivo è chiaro: poter rivivere, con l’Italbasket, nel giro di un paio d’anni.
Torniamo a parlare dei Warriors, tra passato recente e presente, con una breve serie di curiosità da porti: pensi che Golden State sia la principale favorita per vincere l’anello quest’anno? Con quale compagno hai legato maggiormente durante la scorsa stagione? E infine una pillola – magari poco nota – su Steph Curry? Gli Warriors sono tornati ai massimi livelli di rendimento e la classifica è lì a testimoniarlo. È sempre bello vederli giocare il loro basket, certo non ci si annoia a guardarli! Poi hanno una profondità che poche altre formazioni possono vantare, per cui credo lotteranno fino in fondo in postseason. Mentre ripensando al mio anno lì e al compagno col quale mi sono trovato di più ti direi Jordan Poole, che quest’anno sta giocando in maniera strabiliante: aggressivo in attacco, tira con grande efficienza e si fa trovare sempre pronto a disposizione di coach Steve Kerr, indipendentemente dal fatto che parta in quintetto come accaduto spesso nella prima metà di stagione, o dalla panchina come cambio di Klay Thompson. Sono strafelice per lui, sta migliorando a vista d’occhio! E infine, qualcosa di originale su Steph… Ce l’ho! Sapevate che anche lui fa gli anni il 14 marzo? Condividiamo la stessa data di nascita, per cui mi è facile ricordarmi di fargli gli auguri (ride, ndr).
Fonte: Legabasket.