Boniciolli: È morto il diritto sportivo nella pallacanestro. Professionismo non fatto per formare

Le parole dell'ex coach della Fortitudo Bologna: Abbiniamo la solidità finanziaria con l’abolizione delle promozioni e retrocessioni

Intervistato da Il Piccolo, questo il pensiero di Matteo Boniciolli in merito al Covid, alla sospensione dei campionati ed alla ripresa del basket giocato.

“Mi aspetterei dai vertici dello sport che anticipino e non reagiscano ad una situazione di emergenza. Posto che Petrucci è stato tempestivo e opportuno a interrompere la stagione a titolo definitivo, auspicherei che ci si renda conto che da tempo è morto il diritto sportivo nella pallacanestro. Non si può prescindere dalla solidità economica se si vuole andare avanti. Vi faccio un esempio? Leggo (e sottolineo leggo) che Montegranaro sarebbe pronta a vendere i diritti per l’impossibilità a reggere finanziariamente un altro anno in A2. La Fortitudo Bologna è salita nella massima serie, con pochi punti di vantaggio proprio sulla Montegranaro di coach Pancotto. Quindi uno scenario plausibile poteva essere che Montegranaro salisse di categoria, costringesse Bologna o Treviso a fare un altro anno in A2, per poi dichiararsi “morta” per un regime economico insostenibile al piano superiore. Capite i rischi a cui si va incontro ogni anno?
Abbiniamo la solidità finanziaria con l’abolizione delle promozioni e retrocessioni. Solo così, nell’Italia dell’isteria governativa che vede succedersi governi ad ogni stagione, si aprirebbero spiragli di progettazione a medio e lungo termine, in tutte le componenti della pallacanestro. Le società investirebbero sui settori giovanili, darebbero tempo ad allenatori e dirigenti capaci (e ce ne sono!) di poter lavorare adeguatamente, farebbero giocare gli italiani con ri­verbero sicuro in chiave nazionale. Non vi parla uno che da allenatore maturo ha avuto il coraggio di lanciare Candi, Campogrande, ecc, bensì uno che al suo primo anno di serie A1 diede 15 minuti di media a partita al diciottenne Joel Zacchetti nel lontano 2000. Senza fraintendere però categorie, ruoli e obiettivi: in prima squadra l’allenatore raccoglie e assembla una semina avvenuta nei settori giovanili. Il professionismo non è fatto per formare”.