Il Salone d’Onore del CONI ha ospitato questa mattina “Allenare l’Azzurro, CT a confronto”, la tavola rotonda che ha visto protagonisti gli allenatori di quattro Nazionali, ovvero Roberto Mancini (calcio), Gianmarco Pozzecco (pallacanestro), Ferdinando De Giorgi (pallavolo) e Alessandro Campagna (pallanuoto).
A fare gli onori di casa è stato il Segretario Generale del CONI Carlo Mornati, che ha introdotto l’incontro coinvolgendo il presidente della FIP Giovanni Petrucci, l’ideatore del convegno. “L’esperienza mi insegna che quando si elogiano i grandi risultati ottenuti dallo sport italiano, non sempre si tengono nella giusta considerazione i meriti dei nostri tecnici, che resto convinto siano i migliori al mondo. Ho fortemente voluto questo incontro, che replica quello di qualche anno fa che organizzai con Ettore Messina, Ratko Rudic e Arrigo Sacchi. E’ un grande piacere vedere il Salone d’Onore del CONI pieno, un ringraziamento speciale va al Ministro Andrea Abodi che ha sempre mille impegni ma oggi è voluto essere qui con noi “.
“Ringrazio il presidente Petrucci per questa splendida idea – ha detto il presidente del CONI Giovanni Malagò – la qualità dei nostri tecnici è certificata dall’altissimo numero di loro che viene chiamato all’estero, mentre invece abbiamo qualche difficoltà a esportare atleti e atlete. Alla base di tutto c’è la nostra attenzione verso la Formazione, a cominciare dalla Scuola dello Sport. A Tokyo abbiamo ottenuto un grande risultato vincendo 40 medaglie ma ci sono mancate le gioie negli sport di squadra. A Parigi ci rifaremo, ne sono certo”.
L’intervento del ministro dello Sport Andrea Abodi ha insistito sul valore dello sport come motore educativo. “Il dato centrale che voglio sottolineare oggi è il valore della Maglia Azzurra, per la ricaduta positiva che può avere su chiunque si avvicini allo sport. Lealtà, correttezza e probità, sono questi i principi a cui sempre dobbiamo fare riferimento, a maggior ragione quando rappresentiamo il nostro Paese. La presenza oggi qui di quattro CT straordinari risponde a questa esigenza, perché al di là dei successi è la modalità con la quale loro si comportano, si presentano e ci rappresentano ad essere vincente”.
Tre i temi proposti ai quattro CT da Carlo Mornati.
1. La gestione del gruppo post-Covid, dal punto di vista psicologico, dello stress emotivo in un ambiente di incertezza.
Mancini
“Certamente quello non è stato un periodo semplice ma fortunatamente gli atleti sono strutturati per risolvere problemi e si sono fatti trovare pronti proprio perché nella loro carriera spesso sono chiamati a gestire situazioni complicate. La difficoltà del momento è stata superata proprio grazie alla straordinaria disponibilità dei giocatori”.
Campagna
“Inutile negarlo, la ripresa è stata complicata perché frenata da problemi psicologici correlati alla difficoltà del momento. Sono cambiate le dinamiche di gruppo e le sensibilità ma come sempre ho fatto nella mia carriera da giocatore ho fatto in modo che una criticità si trasformasse in un’opportunità di crescita. Il coinvolgimento degli atleti all’interno dello staff è diventato totale, le distanze si sono attenuate. In fondo i giocatori ci vedono come punti di riferimento per la loro evoluzione”.
De Giorgi
“Fortunatamente noi italiani nelle emergenze ci dimostriamo sempre molto bravi. Nel mio caso ho cercato di mantenere un clima di fiducia aumentando la concentrazione sul fare le nostre cose, evitando di guardare troppo avanti. Riportare l’attenzione quotidiana sul campo ci è servito davvero tanto”.
Pozzecco
“Il mio problema più grande è stata l’incertezza sanitaria ma devo dire che i miei giocatori hanno vissuto quel periodo con discreta serenità, forse perché sapevano che come sempre sarei stato il primo a proteggerli in ogni situazione critica”.
2. L’importanza del cambio generazionale: la fiducia ai giovani, la giusta responsabilità.
Mancini
“Nel calcio questo del ricambio è un problema più che in altri sport. Dobbiamo cambiare mentalità, fare in modo che ragazzi di 18 anni possano avere la possibilità di competere ai massimi livelli, un po’ come è successo a me. La fatica nel trovare giocatori validi è anche legata alla scelta diffusa di ingaggiare tanti stranieri, anche se ora a differenza degli anni 80 raramente arrivano in Italia elementi capaci di fare la differenza. Basti pensare che spesso molti Azzurri che escono dal biennio con l’Under 21 faticano poi a trovare spazio con le rispettive squadre di club”.
De Giorgi
“Le modalità del mio esordio da CT sono state particolari, perché sono entrato in carica subito dopo le Olimpiadi di Tokyo e a pochi giorni dagli Europei. Un allenatore della Nazionale deve saper mediare tra l’urgenza del risultato e la programmazione a lungo termine: riconoscendo le potenzialità di un gruppo così giovane, ho dato loro un’opportunità e creato l’ambiente giusto per metterli nelle condizioni migliori. Associare il concetto di rischio al lancio di un giovane è fuorviante: quando giocavo mi dicevano sempre che mi mancavano 5 centimetri per diventare un grande alzatore. Mi disturbava pensare che chi mi parlava non notava i miei pregi ma si soffermava su una lacuna. Ecco, quando guardo i miei giocatori mi concentro sulle loro potenzialità, non sui difetti”.
Campagna
“Nei miei 14 anni da CT ho vissuto almeno tre ricambi generazionali. Continuo a essere convinto che la mia Nazionale non debba essere composta dai migliori 13 giocatori in senso assoluto ma dai 13 più funzionali per far rendere al meglio la squadra. Solo così si genera un’energia contagiosa che ti consente di battere formazioni più attrezzate. Nel 2009 abbiamo ottenuto il peggior risultato della mia gestione con l’undicesimo posto al Mondiale di Roma, proseguimmo con un progetto giovani che nel tempo era destinato a dare risultati. Talvolta siamo i primi a chiudere le porte forse perché se schieri un giocatore navigato sai di ricevere meno critiche: in realtà ai nostri ragazzi dobbiamo dare obiettivi precisi e strumenti per raggiungerli. Ma non a 23 anni, a 18, quando la crescita fisiologica è già completata”.
Pozzecco
“Sono d’accordo con chi mi ha preceduto, è necessario cambiare mentalità. Quando penso alle convocazioni non mi preoccupo di chiamare i giocatori con le migliori statistiche e invece preferisco coinvolgere ragazzi che mi permettano di ricreare nella squadra un ambiente familiare. Quello in cui riesco a dare il meglio di me tra professionalità, senso di appartenenza e goliardia”.
3. Lo staff come motore per il miglioramento. La costruzione, la scelta delle personalità e l’utilizzo. Le figure a supporto di una Nazionale.
Mancini
“E’ un aspetto fondamentale per la qualità del mio lavoro, perché sono un allenatore a cui piace delegare e confrontarsi col resto dello staff. Giusto scambiarsi opinioni diverse e in qualche caso cambiare la propria idea. Il pensiero va all’ultimo Europeo, quello vinto in Inghilterra: non eravamo la squadra migliore, se abbiamo vinto è anche grazie allo splendido lavoro di equipe che abbiamo confezionato dal primo giorno di raduno. Tutti insieme”.
De Giorgi
“Uno staff che funziona è il motore del miglioramento, individuale e di squadra. Nel mio gruppo di lavoro ho inserito anche un pedagogista, perché credo sia fondamentale dare gli strumenti giusti ai giocatori in tanti ambiti diversi. Alcune figure sono strategiche, penso ad esempio al fisioterapista che ha un contatto quotidiano e confidenziale con gli atleti. Se non c’è un allineamento col resto dello staff, c’è un problema non da poco. Nel mio gruppo di lavoro ci si ascolta e si decide insieme, certamente nel rispetto delle singole competenze”.
Campagna
“Dal mio staff, che adoro, arrivano alla squadra forza ed entusiasmo. Ricordo che dopo le Olimpiadi di Rio chiesi alla Federazione di non aumentare il mio compenso ma quello dello staff che mi aveva accompagnato in quel bellissimo viaggio. Tutto ciò contribuisce al fatto che ci siano armonia, sintonia, che si condividano momenti unici col sorriso anche nelle difficoltà. So che il mio staff si getterebbe nel fuoco per me, io farei lo stesso per loro”.
Pozzecco
“Credo che uno staff coeso e quindi efficace dipenda dalla gratificazione di tutti i componenti del gruppo che lavora e vive insieme per tante settimane di fila. Il lavoro di un allenatore viene messo in vetrina su base quotidiana, quello di chi lavora dietro le quinte no. Io poi ho elaborato una tecnica tutta mia per offrire visibilità ai miei assistenti, quella di farmi espellere spesso. Su dieci partite ne hanno vinte nove e io quando sono loro i protagonisti di un successo sono ancora più contento”.
Al termine della tavola rotonda, ai quattro allenatori è stato chiesto di ricordare la partita alla quale sono più legati, da CT della Nazionale.
Mancini
“Sarebbe facile rispondere la finale del Campionato Europeo contro l’Inghilterra ma ho un ricordo speciale di quando nel 2020 vincemmo ad Amsterdam contro i Paesi Bassi. Partita dominata per 90 minuti e vinta 1-0 con gol di Barella. Fummo ricoperti di complimenti, e non capita così spesso”.
De Giorgi
“La finale dell’Europeo con la Slovenia, una partita complicatissima contro una squadra esperta e navigata. Ci siamo ritrovati a inseguire ma abbiamo tenuto botta e alla fine l’abbiamo spuntata. Mi piace giudicare la qualità del nostro lavoro nelle difficoltà, non quando le cose vanno bene”.
Campagna
“La partita col Montenegro che valse il Bronzo a Rio 2016. Scelgo quella partita perché arrivò al termine di un raduno e di una competizione in cui perdemmo diversi giocatori per strada. Dopo il pesante ko con la Serbia in semifinale in pochi credevano in noi e l’alibi per un’altra sconfitta, dopo tutti quegli infortuni, era apparecchiato. La gioia per quel successo non la dimenticherò mai”.
Pozzecco
“Ho poche partite alle spalle da CT della Nazionale, avendo allenato solo all’ultimo Europeo. Potrei dire il successo sulla Serbia agli Ottavi di finale e invece scelgo la sconfitta con la Francia nei Quarti. Lì non c’era più l’effetto sorpresa, ma la consapevolezza che potevamo giocarcela con le squadre più forti d’Europa”.
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